MARIA ANTONIETTA SCARPARI
Il mio viaggio dappertutto.
Picasso mon amour

Maria Antonietta Scarpari nel ciclo Il mio viaggio dappertutto, da cui è tratto Picasso mon amour, presentato in mostra presso La Corte Arte Contemporanea, pone l’accento inevitabilmente sul tema del viaggio. Viaggio immaginato e immaginifico, fatto di mete inconsuete, ma ispirato nel suo insieme da un grande desiderio. Se volessimo trovare un filo conduttore al progetto di Maria Antonietta Scarpari direi che è proprio questo: il desiderio. Ciò che sembra spingere e animare il lavoro di Maria Antonietta è proprio il profondo desiderio di indagare e di porsi continue domande sul sé e sul mondo che la circonda, portandola a proiettare il suo se stesso più intimo e nascosto, la sua immagine di bambina, all’interno di situazioni paradossali, al limite del reale.
Il mio viaggio dappertutto e in questo caso, Picasso mon amour, non è quindi un viaggio composto da singole tappe, è piuttosto la storia del viaggio che l’anima di un’artista talvolta può compiere, riuscendo infine a convogliare la propria ricerca in un percorso visivo.
Maria Antonietta utilizza la tecnica del fotomontaggio per creare scenari e ambientazioni surreali in cui ambienta la fotografia di lei bambina alle prese con la scoperta del mondo e della vita. È solo attraverso uno sguardo indagatore innocente e puro - come può essere solo quello di un bambino - che ci possiamo avvicinare con occhio nuovo a quanto l’occhio e il cuore dell’adulto già conosce. La piccola protagonista di Il mio viaggio dappertutto muove i suoi incerti passi nel mondo degli adulti, esplorando e soprattutto vivendo senza preconcetto alcuno ciò che viene rappresentato nell’immagine fotografica.
Interessante è proprio l’uso che viene fatto della tecnica del fotomontaggio, tanto caro a dada e surrealisti. Scegliere come mezzo di espressione la fotografia gioca su un duplice binario iconico: da una parte l’immagine fotografia è da sempre assimilata a quanto di più oggettivo ci possa essere. La macchina al momento dello scatto non fa altro che catturare l’immagine del mondo per compiere la magia di replicarla esattamente, fermare non solo l’istante, ma anche il punctum per dirla alla Barthes; dall’altro lato il fotomontaggio e le moderne tecniche di manipolazione dell’immagine digitale creano uno scollamento che porta a chiederci se la fotografia rappresenti davvero la realtà che dice di aver catturato. Quanto vediamo è reale o è solo il frutto di un fotoritocco? In Il mio viaggio dappertutto paradossalmente non abbiamo nessuno delle due situazioni pocanzi esposte, il “gioco” è, in questo caso, dichiarato dall’artista fin dall’inizio, tutti noi di fatto vediamo chiaramente che si tratta di un fotomontaggio in cui non si cerca di ingannare l’occhio dell’osservatore. E allora perché?
L’artista gioca sulla sottile ambiguità visiva che crea scegliendo come base del proprio lavoro immagini fotografiche e non, su cui appone, come se fosse una personale cifra stilistica, la sua immagine, che torna continuamente nel corso della storia. Allo sorpresa iniziale che l’osservatore trae dal rendersi conto della presenza inattesa, quanto a tratti inquietante, della bambina che osserva il mondo con occhi grandi e curiosi, si aggiunge lo straniamento. La bambina è come se si trovasse ovunque, in ogni evento storico rilevante, in ogni dipinto, è “dappertutto”, torna come torna la storia con i suoi cicli. Eppure la sua presenza è rivelatrice, è il segno tangibile che l’artista ha bisogno di esperire e introiettare nel suo animo il proprio percorso per poterlo poi rendere esplicito e fruibile nella propria opera.
Maria Antonietta Scarpari per questo lavoro muove da ciò che in qualche modo ha segnato la sua esperienza artistica, il primo incontro con l’arte di Picasso, che diventa “son” amour, il delicatissimo Hokusai, ma anche la storia e i suoi personaggi. Il tutto viene sentito e vissuto con occhi nuovi, quelli di sé bambina.
Ecco allora dove sta il desiderio: sta nell’amore sconfinato che si prova verso un’artista che ci spalanca nuovi orizzonti, è nell’appassionarsi agli eventi della nostra storia, è nel volerli sviscerare e indagarli per farli propri e restituirli sotto forma di nuova immagine.
Ogni fotografia proposta in questo ciclo trasuda questo tipo di desiderio e ci spinge con forza a pensare di voler a nostra volta percorrere un simile viaggio dentro se stessi.
In fondo, per citare Kostantin Kavafis, ciò che davvero conta non è la meta, ma il viaggio.

“[…] Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare”

Carolina Orlandini